Monday, July 24, 2006

Guy Debord



E' il 1967.
Parigi è il centro culturale dell'universo.
Parigi è, come si dice in questi casi, la cartina di tornasole dell'Europa del malcontento sociale e del fermento studentesco.
Mentre tizi con baffo, pantalone a zampa e occhiale a goccia si affannano coi collettivi, dibattendo su Mao, Marx, Tex Willer e L'Internazionale, con l'obiettivo alla fine di portare in branda qualche compagna con pelo a marmotta, il signor Guy Debord pubblica un saggio, un libro sottile ma decisamente metal, decisamente "laminato" decisamente passatemi il termine Cazzuto, decisamente/Decisivo.
La copertina reca il titolo La società dello Spettacolo, ma non si tratta di un libretto di un'Opera nè di un saggio sul teatro parigino di Sartre.
Insomma il fragilissimo e intrattabile Debord getta lo sguardo e il cuore oltre la siepe, avanti di almeno 30 anni scrivendo un libello che spazza via tutto, tutta la ingombrante sovrastruttura comunista, e tutto il leggerissimo sub-apparato capitalista. Lucido e visionario, spietato e senz'ombra di morale, un saggio buttato giu' praticamente in versi, quasi come un poema socio-politico. Il linguaggio è nuovo, le problematiche individuate ancora di più. Pochi (ancora oggi) capiscono la portata di certe dichiarazioni, di quel tipo di interpretazione contraddittoria della realtà. Pochi capiscono uno che parla di Spettacolo in termini di rapporto sociale e Rappresentazione e Debord, consapevole di aver cantato la Sconfitta, stoicamente non si preoccupa, resta per un po' nella ballotta dei Situazionisti, scrive altre cose e gira un bel po' di film obiettivamente inguardabili(a meno che tu non sia un intellettuale di Montparnasse con la dolcevita nera) prima di farsi saltare la faccia con un fucile a pompa nel '94.
Grazie al potere di un link (per cui non finirò mai di ringraziare l'amico Founthead) ho finalmente il tanto agognato film de La Società dello Spettacolo, solo I Ragazzi della Via Pal di Ferenc Molnar aveva saputo trovarmi tanto impreparato.
Ma è anche vero che avevo 8 anni.

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As long as necessity is socially dreamed, dreaming will remain a social necessity. The spectacle is the bad dream of a modern society in chains and ultimately expresses nothing more than its wish for sleep. The spectacle is the guardian of that sleep.
(Guy Debord – 1967 nella foto è quello tutto a sinistra)